Dobbiamo parlare di come cambia, nello smart working, l'utilizzo delle proprie competenze. La prima cosa che dobbiamo tenere in considerazione è che nel lavoro a distanza non possiamo più far riferimento alla nostra disponibilità e all'impegno che abbiamo messo sul lavoro, ma dobbiamo far riferimento al raggiungimento dei risultati complessivi. Per far questo dobbiamo spendere competenze, competenze che, come caratteristiche individuali acquisite per raggiungere i risultati, andranno ridefinite per far sì che anche nello smart working tali risultati possano essere raggiunti. Bisogna far riferimento al proprio ruolo. Che cos'è il ruolo? Il ruolo è quello spazio di responsabilità che ci viene affidato dall'organizzazione e per il quale dobbiamo rispondere responsabilmente dei risultati. Nello smart working la grande differenza con il lavoro in presenza è che il ruolo diventa sempre meno prescritto e sempre più discrezionale. La parte discrezionale nell'organizzazione del proprio tempo, nell'organizzazione della modalità del lavoro, nell'innovazione stessa, nell'agire il ruolo, diventa preponderante. Che cosa sarà prescritto? Sarà prescritto il raggiungimento dei risultati, dei risultati individuali, ma anche dei risultati collettivi, per cui una delle competenze che ci sarà richiesta sarà, ovviamente, la capacità di collaborare con gli altri anche in una situazione in cui lavoriamo a distanza. Anche quando si lavorava in presenza, si è sempre fatto riferimento al collaboratore o al lavoratore imprenditore, così come si faceva riferimento al capo, che doveva lavorare in un'ottica di supporto e non di sostituzione. Ma, diciamocelo, conoscendo le organizzazioni, sappiamo benissimo che poi di fatto non era così. Il collaboratore non era un imprenditore o qualcuno che doveva avere iniziativa imprenditoriale, era qualcuno che in linea di massima poteva confrontarsi costantemente con un capo il quale, seppur gli delegava alcune attività, era pronto a ritirare la delega e a sostituirsi al collaboratore stesso per raggiungere il risultato. Quindi il lavoro del capo era un'ottica sostitutiva e non un'ottica supportiva. Così come il lavoro del collaboratore era molto spesso quello di richiedere sostegno per la presa di decisioni e per qualsiasi attività che servisse per raggiungere il risultato. Sebbene questo concetto, quindi, del lavoratore imprenditore fosse già noto e di necessità di cambiamento si parlasse ormai da decenni, di fatto, nelle organizzazioni questo era molto limitato. Il fatto di trovarsi in situazione di smart working, a seguito del Coronavirus, non ha dato neanche il tempo di riflettere su quale paradigma culturale avremmo dovuto cambiare per far sì che lo smart working funzionasse realmente. C'è stata un'accelerazione molto forte, che ci ha consentito, però, di capire che alcune cose dobbiamo cambiarle. Sicuramente non c'è più tempo. Se prima si parlava di responsabilità nel raggiungimento dei risultati e nel raggiungimento degli obiettivi, ora è arrivato il momento, veramente, di prendere in mano questa responsabilizzazione e di rendersi responsabili, avere un commitment molto forte e molta fiducia in se stessi, per raggiungere il risultato insieme agli altri, ma comunque con una responsabilità individuale molto molto forte. Questa è la vera sfida dello smart working. La vera sfida poi è il commitment organizzativo. È chiaro che si dovrà perdere molto più tempo per capire il senso della direzione, perché quando lavoriamo a distanza ognuno di noi deve sapere verso dove andare e quindi dovrà sviluppare una capacità strategica che non era richiesta lavorando gomito a gomito, lavorando continuamente. Questa mancanza di vicinanza continua fa sì che l'unico modo per raggiungere realmente i risultati sia il responsabilizzarsi. Insisto molto su questo concetto di responsabilità, perché è quello che, insieme al ruolo, all'azione di un ruolo che cambia, di un ruolo anche sociale che cambia, perché nella situazione di smart working ognuno di noi vive la fase di isolamento in modo molto complesso. Una volta definito il cambio culturale che dobbiamo affrontare, dobbiamo anche chiederci se siamo in grado di sviluppare quelle competenze che ci servono. La risposta è sicuramente positiva, purché ci sia un impegno individuale. Noi non possiamo considerare che le nostre competenze vengano incrementate esclusivamente con un apprendimento in aula, con un apprendimento con l'e-learning a distanza, è un nostro impegno personale, è una responsabilità ugualmente forte come quella del raggiungimento dei risultati. Come le sviluppiamo queste competenze? Uno studioso giapponese, Nonaka, ha detto che gli adulti apprendono in quattro modi diversi. L'adulto apprende per autoconsapevolezza, l'abbiamo detto, è la prima cosa essere consapevoli delle cose che bisogna migliorare. L'adulto apprende per autocorrezione. Vedo che agendo in un determinato modo, non riesco a raggiungere i risultati, e mi correggo. L'adulto apprende per imitazione, vede come gli altri raggiungono i risultati e cerca di fare lo stesso. In ultimo, ma la cosa forse più importante, l'adulto apprende rendendo esplicite le sue conoscenze tacite. Cosa vuol dire le sue capacità, le sue competenze tacite? Vuol dire che ognuno di noi, all'inizio del proprio percorso lavorativo, ha molte competenze che purtroppo l'organizzazione stessa ha depotenziato, ma quelle competenze restano in noi, quelle caratteristiche personali rimangono, tant'è vero che molto spesso le spendiamo al di fuori dell'organizzazione. Noi vediamo spessissimo che persone che nel luogo di lavoro sembrano non dotate di iniziativa, di capacità di prendere decisioni, di visione, di capacità di reagire all'insuccesso, poi, nei luoghi di lavoro, magari volontario, esprimono tutte queste competenze al massimo. Quindi vuol dire che la competenza c'è, è rimasta tacita, perché così come la competenza si sviluppa, la competenza si depotenzia. E purtroppo le organizzazioni, troppo spesso, invece che sviluppato competenze le hanno depotenziate. Si tratta di recuperarle, perché quelle competenze che c'erano, vanno recuperate nello smart working. Pensiamo ai giovani. Quando si inizia a lavorare ognuno di noi ha un livello di iniziativa piuttosto alto, l'iniziativa, spesso, non solo non è stata valorizzata nel corso degli anni da parte delle organizzazioni, ma molto spesso è stata addirittura penalizzata. Questo ha fatto sì che molti di noi hanno perso questa competenza, si tratta di recuperarla nello smart working, e questo è possibile grazie alla presa di consapevolezza che quella competenza va tirata fuori e verrà valorizzata. È ovvio che l'organizzazione dovrà rivedere anche i suoi modi valutativi e dovrà in qualche modo consentire che queste competenze siano agite e questa volta vengano valorizzate ed espresse nei migliori talenti e non penalizzate come spesso è stato fatto. Concludendo, sono le organizzazioni stesse che ci devono aiutare nel nostro percorso nello smart working pur di raggiungere i risultati, ma è nostra responsabilità individuale trovare il modo di raggiungere quelle competenze, apprendendo attraverso gli strumenti di apprendimento degli adulti.